SGUARDI LATERALI | PAOLO ALDO ROSSI E IDA LI VIGNI
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EXIBART – Anna Oberto
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ANNA OBERTO | Mémoires Liquides Pierres et Cristaux écritures à Mesure de Femme
“Mémoire Liquides Pierres et Cristaux – Ecritures à Mesure de Femme” Anna Oberto ingresso libero sabato e domenica ore 15 – 19 Inauguratasi sabato 11 marzo, al Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro in Andora (SV) la mostra personale Anna Oberto Mémoires Liquides Pierres et Cristaux – Écritures à Mesure de Femme, a cura di Viana Conti. La mostra rientra nel contesto dell’evento espositivo Motori dell’Immaginario Fuochi Narrativi del Fermo-immagine Vis-à-Vis: Abbas Kiarostami-Vincenzo Cabiati. Sono stati ospiti speciali della serata l’architetto di origine iraniana, Abbas Gharib autore del libro “Kiarostami, perché cinema” e il critico cinematografico, autore televisivo e regista Tatti Sanguineti. Artista impegnata nella ricerca verbo-visuale, nella scrittura al femminile, nella performance, nel cinema sperimentale, nella militanza femminista, Anna Oberto, nata ad Ajaccio, residente a Genova, è una figura internazionale già attiva nel contesto delle avanguardie e tuttora propositiva sull’area dei linguaggi e dei metalinguaggi. Tra quarzi dai riflessi iridati, fantasmagorici giochi di luci e ombre, dorate sfoglie lenticolari di rose del deserto, Anna Oberto dissemina fermi-immagine di scritture, segni, tessiture e intrecci di fili rossi che non cessano di irretire lo spettatore nelle seduzioni del loro cerchio magico. L’ultima riga di un diario si materializza nel gesto della performance, l’ultima pagina di un racconto si trascrive nello spazio dell’essere. La Scrittura a misura di Donna di Anna Oberto è un enigma sui bordi di un abisso, ai limiti di un paradosso logico in cui il lessico si radicalizza e al contempo implode nelle modalità anascritturali e analogiche elaborate con lei da Martino Oberto, a partire dal 1958 anno di uscita del numero 0 della rivista Ana Eccetera di filosofia astratta e linguaggio. Nel Corpus della sua opera Scrittura e Performance si confrontano in un percorso criptico di seduzione e sparizione, dissacrazione della ritualità di massa e attivazione di una sacralità liturgico-cerimoniale del dono e del lutto, del canto e del silenzio, dell’amore e della follia. Ecco in mostra Anna ritratta nel luogo dell’assenza, là dove parlano cristalli di memoria, rispecchiamenti di luci remote, di contatti, di figure perdute e ritrovate, del ricongiungimento con se stessa. Si inaugura così, tra le opalescenze delle pietre, il baluginio dei quarzi, i bagliori dorati delle marcassiti, uno scenario di Memorie liquide, appartenenti all’arco temporale 1980/1985, di gesti simbolici catturati dalla pelle chimica, permeata di micro particelle di alogenuro d’argento, della foto polaroid, per sua natura irripetibile, qui ripresa nella dimensione filmica di un fotogramma dilatato nel tempo e nello spazio, in cui Anna Oberto è artista, regista di se stessa, soggetto di un autoritratto smaterializzato nella luce, nel colore, nella gestualità di un corpo che si fa scrittura di un Diario Senti/mentale, riflesso speculare dei Frammenti di un discorso amoroso, di ascendenza barthiana, di una Mitobiografia da cui traspare il risalimento a figure sacrali come Anna Perenna (1989), archetipo della Madre e del Nutrimento (radice sanscrita ann=cibo) ninfa, secondo alcuni, delle acque, come Melusina, che la leggenda vuole con la coda di sirena o di serpente, a figure letterarie come Adèle Hugo, oracolari come Cassandra. I gesti si riavvolgono nei fili rossi di contatti ora cercati, ora negati, ora ritrovati, nei meandri del vissuto. Un’iterata Cérémonie, quella di Anna Oberto, officiata dall’artista stessa in quella sequenza liturgica a cui Jean Baudrillard, Louis Marin, Paul Virilio – redattori, tra gli altri, della rivista trimestrale francese Traverses – dedicano, nel maggio 1981, cinque indimenticabili pagine di storia. Artista, con Martino Oberto, attiva dalla fine degli anni Cinquanta, nelle analisi semantografiche del linguaggio – pubblicate in Ana Eccetera nel 1963 e 1965 – pratica la performance, prendendo le distanze dal teatro di parola e dallo spettacolo convenzionale di consumo, per entrare nel teatro della vita, per investire di valore simbolico, a livello concettuale, emozionale, sinestetico, ambienti, gesti, abiti, colori, percorsi, oggetti, suoni, canti, luci e ombre. Come in una danza ripetuta surplace, la sua scrittura, manuale e virtuale, gestuale e poetica, non cessa di oscillare tra significante e significato, tra semantico e asemantico. In Anna Oberto performer il Corpo è linguaggio, come lo ha letto Lea Vergine nei suoi scritti e nelle sue rassegne al femminile. La cerimonia dei suoi doni si materializza e smaterializza in un’offerta di racconto, che si dà come racconto di un’offerta a un interlocutore assente: l’amato. Nel suo percorso di segnificazione della propria identità (latino signum facere), non cessano di delinearsi – a partire da L’utopico. Eanan o la scoperta delle origini della scrittura_del linguaggio_nel flusso vitale del colore (1974) – andamenti spiraliformi e circolari, in cui il rapporto con l’altro si manifesta, si interrompe, riprende, nel ricongiungimento delle due rive al cui centro, in-certo, il soggetto femminile ritrova l’Unità del Doppio, la centralità di se stesso. Come in India Song di Marguerite Duras è l’inenarrabilità del racconto che scorre liquida davanti alle immagini iperdimensionate delle performance di Anna Oberto. Voci fuori campo, immagini dilatate in un tempo senza tempo, oggi le Scritture d’amore. La Cerimonia. Diario 1980, Scritture d’Amore. Il rituale dei doni. Ritratt(o)i 1982. Scritture d’amore. La seduzione. Mer Mère Aimer 1984. Scritture di luce. Love’s writings in Wonderland. Reflected stories Lost images Spent gestures 1985, ricostruiscono nella mente e negli occhi di chi guarda un percorso estatico, un viaggio nell’immaginario, nel sogno, nel desiderio, nel labirinto, nell’intensità empatica della scrittura in codice del Journal intime di una delirante Adèle Hugo. La dimensione simbolica di questa artista e sacerdotessa, autrice e performer si esprime nello Spazio come Stanza della Poesia, nel Tempo come dipanarsi e raggomitolarsi del Filo scarlatto del flusso vitale, nel Colore Rosso come Pathos, nel Nero come pratica del lutto, nell’Oro come dimensione sacrale, emblematicamente espressa dall’opera Affiora la follìa tra folgoranti bagliori, del ciclo Si Apre la Parola, del 1989. L’attività interdisciplinare di Anna Oberto si configura come un Diario in cui la mente e il corpo vivono ed esprimono una duplice avventura culturale che, mentre si afferma senti/mentalmente, si nega ai modelli del consumo diventando off Kulchur, come voleva Ezra Pound. La mostra mette in scena la storia liquida di una donna che sfocia in
LEZIONE DIMOSTRATIVA SULLA TECNICA DELL’ICONA
ARTE E FEDE: sulle spalle della tradizione
Inaugurazione con conferenza tematica alla presenza del Sindaco di Andora Mauro Demichelis e dell’Assessore alla Cultura Maria Teresa Nasi interverranno Massimo Angelini Autore di pubblicazioni dedicate alla storia delle mentalità, ai processi di formazione delle comunità locali fra antico regime ed età contemporanea, alla tradizione rurale, alla cultura della biodiversità. Oggi si occupa prevalentemente di riflessioni sul sacro, sulla modernità e sulla visione simbolica della realtà. Don Gabriele Maria Corini Direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale della cultura e docente di Ebraico ed Antico Testamento presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Milano Alma Lorenzi Iconografa allieva del maestro Giovanni Mezzalira dal 1999 frequenta i corsi del maestro Alexandr Stal’nov – tiene corsi di base e di approfondimento di Iconografia Lucy Verzello Iconografa allieva del Maestro russo Padre Andrey Davidov, sacerdote ortodosso guida corsi di Iconografia su vari livelli Durante la serata inaugurale sarà presentato il libro “Canone dell’icona” ed. Pentagora, opera del monaco athonita Dionisio da Furnà, compilata nel XVIII secolo, nota anche come Guida per pittori o Manuale del Monte Athos è uno dei più antichi testi pervenuti, dedicati alle tecniche dell’iconografia bizantina e postbizantina. Ingresso Libero orari di apertura: sabato e domenica ore 15.00 – 19.00 orari festività: Aperti: dalle ore 15.00 alle 19.00 i giorni 29, 30 dicembre 2016 Aperti: dalle ore 15.00 alle 17.00 il 31 dicembre 2016 Aperti: dalle ore 15.00 alle 19.00 i giorni 1, 2 ,3 ,4, 5, 6, 7, 8 gennaio 2017 ANDORA – L’icona immagine dell’invisibile, nobile espressione di arte e fede cristiana è la protagonista della mostra “Arte e Fede sulle spalle della tradizione” che si inaugurerà nelle sale del Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro giovedì 29 dicembre alle ore 18.00. Il percorso espositivo, che prenderà l’avvio dalla piccola cappella, situata a piano terra di Palazzo Tagliaferro, dando l’occasione ai cittadini andoresi ed ai turisti di ammirare gli affreschi ravvivati e riportati alla luce dal lavoro di restauro all’interno di questo scenografico e suggestivo spazio, vedrà esposta un’ampia selezione di icone scritte dalle due maestre iconografe Alma Lorenzi e Lucy Verzello. L’iniziativa promossa nell’ambito del programma di valorizzazione del patrimonio mineralogico del Museo Mineralogico Dabroi, porta all’attenzione del pubblico un’arte affascinante e offre nuovi spunti di riflessione e di approfondimento interreligiosi e culturali confermando, ancora una volta, Palazzo Tagliaferro quale punto di incontro e di dialogo sulle tematiche più eterogenee. Il progetto dialoga armonicamente con il patrimonio dei minerali presenti nelle vetrine espositive, in virtù di una delle regole fondamentali seguite dagli iconografi nella preparazione dei colori utilizzati, in quanto i pigmenti devono rigorosamente provenire dai minerali e dagli elementi forniti dalla natura. Prevista la sera dell’inaugurazione una conferenza tematica che darà al pubblico alcune importanti informazioni sulla funzione dell’iconografo fornendo così le chiavi per una visita che in realtà è “lettura” di Sacra Scrittura. La comprensione delle icone può risultare difficile, se esse vengono osservate solo con l’ottica della cultura occidentale europea. Si tratta di raffigurazioni sacre che devono rappresentare fedelmente ciò che troviamo scritto nelle Sacre Scritture e non possono essere analizzate con gli stessi canoni di un’opera d’arte. Le icone devono essere considerate una finestra spirituale aperta a tutti coloro che sono in grado di coglierne l’essenza. Ed ecco quindi l’importanza del ruolo dell’iconografo che, anche se laico, deve avere la coscienza di compiere una missione al servizio della Chiesa. L’iconografo deve inoltre attenersi rigorosamente al canone iconografico, egli infatti non dipinge ma scrive, non firma mai la sua opera ma diventa mezzo per trasmettere il messaggio divino. Niente di ciò che si trova nell’icona è lasciato al caso: tutto, dal colore, agli oggetti, alle espressioni del viso ai personaggi, ha un significato che veicola il messaggio cristiano rendendolo sotto forma visiva. Sarebbe in ogni caso sbagliato considerare le regole come leggi immutabili rischiando di congelare l’arte, ed è per questo che le icone in mostra sono state selezionate fra quelle “scritte” da maestre iconografe di differenti scuole che nel più rigoroso rispetto dei codici e delle norme dei canoni dell’icona vi daranno la possibilità di avvicinarvi alla lettura di queste meravigliose immagini che sono vere e proprie opere d’arte.
VANIA COMORETTI | FINISSAGE “SIGN OF LIFE”
Mostra realizzata nell’ambito della XIV edizione del Festival della Scienza di Genova 2016 Interverranno VANIA COMORETTI LUIGI MACCIONI
INAUGURAZIONE UFFICIALE – FESTIVAL DELLA SCIENZA DI GENOVA due eventi collaterali al Museo Mineralogico Luciano Dabroi
VANIA COMORETTI | SIGN OF LIFE
ANDORA – Il Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro ha ospitato eventi collaterali alla quattordicesima edizione del Festival della Scienza di Genova. Collegati alla parola chiave del Festival, “Segni”, il Comune di Andora in collaborazione con CEContemporary ha proposto una mostra, “Sign of Life – Rappresentare il gesto” dell’artista Vania Comoretti, due laboratori didattici. Moltissime le tipologie di “Segni”, prese in considerazione dal Festival della Scienza, da quelli del linguaggio matematico o dell’evoluzione a quelli molecolari o genetici, fino ad arrivare a quelli che costituiscono la prova del delitto e la possibilità di vita su altri pianeti. Al Museo Luciano Dabroi, in linea con il programma di valorizzazione del patrimonio di minerali e fossili consistente in oltre 5000 reperti esposti nelle sale del primo piano di Palazzo Tagliaferro, i “Segni” sono stati quelli artistici, archeologici e paleontologici. La mostra di Vania Comoretti sarà visitabile fino al 18 dicembre 2016. Il Museo sarà aperto per la durata del Festival dalle ore 15.00 alle 19.00 con ingresso gratuito. Vania Comoretti (nata a Udine nel 1975 città in cui risiede) lavora pittoricamente e graficamente, ad una, tanto rigorosa quanto estrema, reinvenzione topografico archivistica dell’umano e della sua espressività gestuale. La mostra proposta dal Museo Mineralogico Luciano Dabroi presenta un corpus centrale di opere dell’artista strettamente collegate alla tematica del quattordicesimo Festival della Scienza di Genova: Segni. Giulia Pezzoli analizzando la serie inTRA dice: “[…] fessure e solchi […] dove i segni lasciati dalla pressione costante e prolungata di accessori e indumenti che indossiamo quotidianamente diventano soggetti lontani, riconoscibili ma minacciosi nel rivelare la naturale debolezza della carne umana. Come leggere membrane su cui si sedimentano le tracce del nostro vissuto, gli acquarelli di Vania Comoretti diventano ricettacoli di auree quotidiane, di momenti di vita e degli oggetti che li hanno caratterizzati. Trasformandosi in filtri tra noi e il mondo sensibile, essi rivelano la profonda relazione che esiste fra l’uomo e la realtà che lo circonda e, allo stesso tempo, se ne allontanano per generare un nuovo universo di microscopiche forme astratte.” Gli inTRA sono segni mai irreversibili e sempre temporanei, simboli di caducità dell’esistenza che tutti accomuna. L’artista registra nel suo scenario di frammenti, temperature interne ed esterne, culturali e ambientali, psicologiche e comunicazionali, che fanno dell’epidermide una pellicola sensibile e impressionabile come quella fotografica su cui restano impressi i segni della vita. In mostra, si articolano, anche i suoi close-up Sign sul linguaggio, non verbale, della gestualità spontanea o iconograficamente codificata e simbolica delle mani, con rimandi a chirologia, chironomia, chiromanzia, ma anche a gesti e posture nella pittura sacra o profana degli antichi maestro da Van Dyck a Rubens. Non cessando di dilagare il supporto cartaceo con l’acquerello o la china, per ottenere la pigmentazione epiteliale di base, non cessando di scrivere depressioni puntiformi o rilievi cutanei, superfici lisce o striate, l’artista lavora all’idea di texture, di retinatura stocastica, su cui si modula la frequenza dei punti strutturanti la scala dei mezzi toni, con una capacità grafico-pittorica che, se da una parte afferma la corporeità di un’immagine, dall’altra ne rivela anche l’inconsistenza finzionale. Ma perché, a ben guardare, si ritrova, nella sua inarrivabile tecnica del tratteggio, sia grafico che cromatico, quel processo di analisi che presiede alla pratica del restauro o della conservazione di zone danneggiate di un’opera d’arte? Un restauro, occorre dirlo, inteso come una disciplina critica e non solo tecnica. La risposta è semplice e automatica: perché questa artista si è anche diplomata in Restauro pittorico all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Questo spiega anche la sua predilezione per la parte sul tutto, per il particolare sull’insieme. Spiega quella sua ossessiva attenzione al dettaglio che si ritrova nell’arte fiamminga, rinascimentale, di segno principalmente mitteleuropeo. Accanto, tuttavia, alla sua scelta di stilemi che affondano le radici nella storia dell’arte, non si possono non rilevare gli effetti di una forma mentis contemporanea che la induce a condividere un approccio all’immagine pittorica di artisti, esistenzialmente e psicanaliticamente tormentati, come Bacon, Freud, Jenny Saville (membro, quest’ultima, della Young British Artists) o all’immagine fotografica documentaristico-concettuale di esponenti della Scuola di Düsseldorf come, tra gli altri, Berndt e Hilla Becher, Thomas Ruff, Thomas Struth, Candida Höfer, Axel Hütte,Thomas Demand e Andreas Gursky.
FESTIVAL DELLA SCIENZA DI GENOVA – ED. 2016
ANDORA – Saranno due gli eventi collaterali alla quattordicesima edizione del Festival della Scienza di Genova proposti dal Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro. Collegati alla parola chiave del Festival, “Segni”, il Comune di Andora in collaborazione con CEContemporary proporrà dal 27 ottobre al 6 novembre una mostra, “Sign of Life – Rappresentare il gesto” dell’artista Vania Comoretti, e laboratori didattici, a disposizione gratuita delle scolaresche, sul tema “Segni di Civiltà – le più antiche tracce del popolamento umano in Italia”. Moltissime le tipologie di “Segni”, che verranno prese in considerazione dal Festival della Scienza, da quelli del linguaggio matematico o dell’evoluzione a quelli molecolari o genetici, fino ad arrivare a quelli che costituiscono la prova del delitto e la possibilità di vita su altri pianeti. Al Museo Luciano Dabroi, in linea con il programma di valorizzazione del patrimonio di minerali e fossili consistente in oltre 5000 reperti esposti nelle sale del primo piano di Palazzo Tagliaferro, i “Segni” saranno quelli artistici, archeologici e paleontologici. Il Museo sarà aperto per la durata del Festival dalle ore 15.00 alle 19.00 con ingresso gratuito. Per laboratori a disposizione delle scolaresche è necessaria la prenotazione, al numero 348.9031514, fino ad esaurimento posti disponibili. I progetti proposti dal Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro: Sign of Life – Rappresentare il gesto Mostra dell’artista Vania Comoretti (nata a Udine nel 1975 città in cui risiede) articolata attraverso l’esposizione di opere pittoriche e grafiche realizzate con tecnica tanto rigorosa quanto estrema a diventare reinvenzione topografico archivistica dell’umano e della sua espressività. Vania Comoretti sceglie l’acquarello, la china ed i pastelli su carta strumenti per un tempo lento di realizzazione, un’osservazione maniacale di quei dettagli del corpo e del viso che diventano storie di vita. Nelle opere esposte Vania Comoretti focalizza il suo sguardo su frammenti corporei, spesso solcati da segni lasciati su di essi da piccole costrizioni (l’asticella degli occhiali, l’elastico delle mutande o del reggiseno, la cintura troppo stretta, un orologio, un bracciale, la tracolla della borsa) mai irreversibili e sempre temporanei, segno di caducità dell’esistenza che tutti accomuna. L’artista registra nel suo scenario di frammenti, temperature interne ed esterne, culturali e ambientali, psicologiche e comunicazionali, che fanno dell’epidermide una pellicola sensibile e impressionabile come quella fotografica su cui restano impressi i segni della vita. Laboratori Segni di civiltà – Le più antiche tracce del popolamento umano in Italia Il laboratorio ha lo scopo di introdurre alla conoscenza delle più antiche tracce archeologiche e paleontologiche attualmente rinvenute sul territorio italiano. I partecipanti apprenderanno i primi rudimenti dell’archeologia preistorica, soprattutto paleolitica, e della paleontologia attraverso un gioco a squadre organizzato come un percorso a tappe lungo la penisola italiana. Scopo dell’attività è inoltre chiarire le differenze tra la professione del paleontologo e quella dell’archeologo, gli ambiti di studio di cui si occupano e grazie a quali tipi di tracce e segni i due studiosi collaborano alla ricostruzione dei paesaggi, degli ambienti e del modo di vita dell’uomo nella preistoria.