IL FESTIVAL DELLA SCIENZA AL MUSEO DABROI – ED. 2018

Il 25 ottobre alle ore 10.30 al Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro si terrà l’inaugurazione con apertura ufficiale degli eventi collaterali alla sedicesima edizione del Festival della Scienza di Genova. Per il quarto anno consecutivo Palazzo Tagliaferro sarà location esterna del Festival divenuto uno dei più grandi eventi di diffusione della cultura scientifica a livello internazionale. Previsti negli 11 giorni della manifestazione incontri, laboratori, spettacoli e conferenze per raccontare la scienza in modo innovativo e coinvolgente con eventi ispirati alle questioni più attuali e scottanti del dibattito scientifico. Il Comune di Andora in collaborazione con CEContemporary, proporrà per quest’anno la preview della mostra “Avant que Nature meure” dell’artista Silvia Cini e tre laboratori didattici, a disposizione gratuita delle scolaresche, ispirati alla parola chiave del Festival della Scienza 2018 “Cambiamenti”.  Il Museo Dabroi effettuerà aperture straordinarie per tutta la durata del  Festival dalle ore 15.00 alle 19.00, l’ingresso come sempre sarà gratuito. Per laboratori a disposizione delle scolaresche è necessaria la prenotazione, al numero 348.9031514, fino ad esaurimento posti disponibili.   I progetti  del Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro: 1) Preview mostra  “Avant que nature meure – Silvia Cini” La mostra è il frutto di una lunga ricerca dell’artista condotta sulle orchidee spontanee in autostrada e sul cambiamento degli areali di fioritura in relazione alle aree urbane o a forte antropizzazione in particolare sull’Autostrada Azzurra: A12 Genova-Milano. Il percorso espositivo, che per questa preview verrà presentato attraverso un’installazione video, porterà il pubblico ad effettuare una riflessione su come stia cambiando il paesaggio. Avant que Nature Meure è il titolo del saggio, di Jean Dorst del 1965, considerato una delle prime opere che abbiano affrontato apertamente il cambiamento in atto nei paesaggi atrofizzati. La mostra presenta la sintesi della documentazione della ricerca scientifica realizzata dall’artista che considera la Natura come metafora della società in divenire. Uno straordinario approfondimento sul regno vegetale, quello realizzato da Silvia Cini, con un focus specifico sul mondo delle orchidee che sono meravigliosa metafora di persistenza e resistenza: “ perché in loro, dice l’artista, il messaggio silenzioso della natura, direi l’urlo silenzioso della natura si cristallizza in forma e questa che io percepisco talvolta zoomorfa altre antropomorfa mi lascia inerme” Silvia Cini artista le cui opere vivono del dialogo, spesso personale, che crea con il pubblico. Il suo interesse si focalizza frequentemente sul paesaggio, come metafora sociale, integrando installazioni audio ambientali e ricerca botanica. 2) Laboratorio: Cambiamenti “Il bio Lab al Museo”  Rivolto alle scuole primarie Bio Lab 1: rivolto alle classi prima e seconda  Bio Lab 2: rivolto alle classi terza, quarta e quinta Contenuti Scientifici: L’ obiettivo del laboratorio sarà quello di portare, gli alunni partecipanti, ad una riflessione sulle conseguenze dei processi di trasformazione e alterazione che l’uomo compie sul territorio, allo scopo di adattarlo ai propri interessi e alle proprie esigenze, generando cambiamenti nella Natura che, necessariamente, deve adattarsi ad essi. Il laboratorio prenderà le mosse da una proiezione video delle opere, dell’artista Silvia Cini, frutto della ricerca condotta sulle orchidee spontanee in autostrada e sul cambiamento degli aerali di fioritura in relazione alle aree urbane o a forte antropizzazione. L’impatto dell’uomo sulla Natura è universalmente riconosciuto, è la prima volta, nella storia della vita sulla Terra che una singola specie sia in grado di influire così radicalmente sul destino di tutte le altre, animali e vegetali. Partendo dall’analisi delle orchidee, pianta alla base della ricerca artistica/scientifica oggetto della video proiezione, il laboratorio porterà gli alunni ad approfondire le caratteristiche principali della pianta fino ad arrivare alle sue strategie di impollinazione e mimetismo e di adattamento ai cambiamenti del mondo esterno. Il cambiamento evolutivo e la mutazione che la pianta attiva, al fine di adattarsi ai cambiamenti esterni, saranno fondamento del programma del laboratorio. Particolare attenzione sarà dedicata allo zoomorfismo e all’antropomorfismo. 3)Laboratorio: Cambiamenti “Il bio Lab al Museo”  Rivolto alle scuole secondarie di primo grado Bio Lab : rivolto alle classi prima e seconda  Contenuti Scientifici: L’ obiettivo del laboratorio è svelare agli studenti i segreti del micro mondo e di come la natura cambi aspetto a seconda dei punti di vista e da cui si osservano le cose. Il laboratorio introdurrà il concetto di cellula, le differenze tra quelle animali e quelle vegetali. La parte pratica permetterà attraverso l’osservazione al microscopio di osservare alcune parti di animali e vegetali scoprendo le loro forme e le loro funzioni.        

PABLO MESA CAPELLA – PALCOSCENICI IRREALI

Domenica 12 agosto 2018 alle ore 21.00 si inaugurerà al Museo Mineralogico Luciano Dabroi la mostra dedicata all’artista spagnolo Pablo Mesa Capella dal titolo “Palcoscenici Irreali”. Le iridescenti sale del Museo Dabroi, accoglieranno, fino al 17 ottobre, le installazioni sotto vetro dell’artista che, nato a Malaga con un background nel campo teatrale ed una passione per gli oggetti, ha dato vita a opere che possiamo definire piccoli contenitori di memoria in cui gli attori sono oggetti di uso comune quali ritagli, stoffe, fotografie, cartoline che diventano narratori simbolici di storie. Oltre 20 microcosmi che porteranno lo spettatore ad abbandonare la staticità della sua condizione di osservatore dei movimenti altrui per diventare lui stesso partecipe, anche fisicamente, della ricerca del dettaglio che costituisce la composizione. Come un gigante in un mondo piccolo, l’osservatore si avvicinerà alle campane di vetro di questi palcoscenici irreali cercando rimandi, inseguendo dettagli, scrutando particolari alla ricerca di un disegno complessivo. Racchiudere il mondo dentro una campana di vetro non vuol dire mettersi dalla parte di Dio, sentirsi dei creatori onnipotenti. Significa piuttosto concentrarsi sul dettaglio per leggere la bellezza del tutto…

PABLO MESA CAPELLA | PALCOSCENICI IRREALI

Le iridescenti sale del Museo Dabroi, accolgono le installazioni sotto vetro dell’artista Pablo Mesa Capella che, nato a Malaga con un background nel campo teatrale ed una passione per gli oggetti,  ha dato vita a opere che possiamo definire piccoli contenitori di memoria in cui gli attori sono oggetti di uso comune quali ritagli, stoffe, fotografie, cartoline che diventano narratori simbolici di storie. Oltre 20 microcosmi che porteranno lo spettatore ad abbandonare la staticità della sua condizione di osservatore dei movimenti altrui per diventare lui stesso partecipe, anche fisicamente, della ricerca del dettaglio che costituisce la composizione. Come un gigante in un mondo piccolo, l’osservatore si avvicinerà alle campane di vetro di questi palcoscenici irreali cercando rimandi, inseguendo dettagli, scrutando particolari alla ricerca di un disegno complessivo. Racchiudere il mondo dentro una campana di vetro non vuol dire mettersi dalla parte di Dio, sentirsi dei creatori onnipotenti. Significa piuttosto concentrarsi sul dettaglio per leggere la bellezza del tutto. Le opere di Mesa Capella non intendono essere delle fotografie di una condizione o di una situazione; vogliono piuttosto essere il punto di partenza di una narrazione che si muove, in un continuo andirivieni, fra presente e passato. Fotografie d’epoca, oggetti, elementi vegetali, testi scritti si fondono in un gioco di rimandi in cui l’ironia sdrammatizza non soltanto la composizione e il messaggio, ma l’essenza stessa dell’arte. Non c’è nulla di monumentale nel lavoro di Mesa Capella, c’è anzi l’idea di riportare la grandezza della storia a un mondo fatto di cose piccole, a una soggettività di ricordi e alla stessa materialità di questi ricordi. Gli oggetti smettono così di essere inanimati e diventano i protagonisti di un racconto che essi stessi propongono. Una lanterna arrugginita ci fa entrare nella sua vita passata, animandosi ci fa vedere le farfalle che nei secoli si sono posate su di lei, i volti delle persone che l’hanno posseduta; la perfetta monumentalità delle uova di struzzo diventa il pretesto per guardare dentro a delle serrature immaginarie da cui fanno capolino delle scene di sesso che sono così decontestualizzate da diventare perfino poetiche; un granchio ritorna in vita dalla zuppiera dove è stato cucinato, all’interno di un tempo che non solo si è fermato ma è stato addirittura soggetto a un lento rewind. Il ciclo delle campane di vetro è quindi il tentativo riuscito di afferrare la grandezza del passato e la complessità della vita scherzandoci sopra ma senza mai banalizzare, inducendo piuttosto nell’osservatore una curiosità che lo porta a riflettere, a pensare a se stesso seriamente ma senza prendersi troppo sul serio, a immaginare la propria esistenza come quella di una piccola entità, racchiusa anch’essa in una campana che vaga nella smisuratezza dell’universo. Nelle installazioni effimere c’è invece uno sguardo al futuro, ad un tempo che si dilata e che ci costringe non soltanto a interrogarci su cosa stiamo osservando ma su cosa potremmo vedere di lì a qualche giorno o a qualche mese. Anche in questo caso, se pensiamo ad un altro lavoro dell’artista come “Aqua botanica” la dimensione rassicurante e poetica di migliaia di elementi naturali (fiori e foglie) racchiusi in altrettanti sacchetti di plastica riempiti di acqua limpida, viene messa fra parentesi dal tempo che scorre e che va a intaccare la bellezza dei fiori appena colti per trasformarla in un altro tipo di bellezza, in cui l’elemento mortifero della decomposizione viene trasfigurato fino a perdere la sua connotazione negativa per diventare semplicemente dell’altro. I colori cambiano, l’acqua si intorbidisce ma la forza dell’equilibrio della messa in scena fa sì che tutto si trasformi rimanendo ancorato alla poesia iniziale. La dimensione concettuale di questo lavoro non rinuncia alla bellezza, alla poesia, all’uso dei colori che la natura mette nelle mani dell’artista. La semplicità degli elementi naturali diventa quindi il pretesto per una rappresentazione plastica della caducità dell’esistenza ma anche in questo senza che il dramma prenda il sopravvento. Lo scorrere del tempo è al centro anche di un altro, più recente, lavoro installativo. Si tratta dell’opera intitolata “Convivio” nella quale delle fotografie d’epoca, vengono ingrandite e stampate su dei supporti su cui l’artista interviene pittoricamente e che sono poi abbandonate a loro stesse e alle influenze del tempo atmosferico. In quest’opera sono al centro una serie di ribaltamenti semantici che finiscono per farne un lavoro concettuale. Le immagini scelte dall’artista sono delle piccole fotografie che vengono invece ingrandite a dismisura; si tratta di ritratti destinati a rimanere parte della vita privata delle persone ritratte che vengono dissacrate esponendole agli occhi di tutti; il logorio prodotto dal tempo che è trascorso dal momento in cui sono state scattate viene azzerato ristampandole su un supporto nuovo; la serialità dell’immagine fotografica è annullata dall’intervento pittorico dell’artista; infine, la sacralità di questo intervento viene rifiutata dall’artista stesso col gesto di esporre le opere sotto il sole, il vento e la pioggia. L’ultimo ribaltamento riguarda, anche in questo caso, l’osservatore che si interroga sull’essenza stessa dell’opera d’arte: qual è l’opera? Quella esposta il primo minuto dell’installazione o quella che vedremo l’ultimo minuto prima di essere disallestita, quando i fattori atmosferici saranno intervenuti su di essa modificandola? E chi sarà l’artefice del manufatto artistico definitivo? L’artista o il sole, la pioggia, il vento? O, semplicemente, il tempo? Al centro dell’opera di Mesa Capella ci sono, dunque, tutti i temi cruciali con cui l’arte si è sempre misurata, primo fra tutti il rapporto fra la vita e la morte. Ciò che rende la sua ricerca originale nel panorama artistico contemporaneo è la fusione fra eleganza e sfrontatezza, fra dramma e ironia, fra serietà e scherzo, fra kitsch e raffinatezza. Si tratta di un progetto che racconta la nostra condizione postmoderna e le sue contraddizioni, ma con la leggerezza di cui è capace soltanto l’arte, quella vera. 

YANG SIL LEE – KIM SEUNG-HO | CULTURA COREANA IN MOVIMENTO 2018

 ingresso libero sabato e domenica ore 19 – 23 aperture straordinarie 26, 27 luglio e 2,3 agosto L’evento espositivo è programmato nel contesto dell’iniziativa culturale, promossa dal Consolato Generale della Repubblica di Corea a Milano, denominata “Cultura Coreana in Movimento 2018”, a cui l’Assessorato alla Cultura del Comune di Andora aderisce in una comune condivisione di intenti e stima reciproca dimostrata dalle frequenti visite ad Andora dei Consoli Generali della Repubblica di Corea a Milano. Un evento artistico che darà ai visitatori di Palazzo Tagliaferro la possibilità di incontrare, all’interno dello spazio del Museo Dabroi risplendente di quarzi, spiriti argentate e dorate, di frastagliate rose del deserto una cultura, lontana geograficamente, ricca di suggestioni della Cultura d’Oriente. Le sculture totemiche in terracotta, dell’artistaYang Sil Lee,trovano nel Museo la collocazione ideale grazie al perfetto dialogo che esse creano con gli esemplari mineralogici risultato della lenta stratificazione operata dalla natura. Yang Sil Lee dopo una laurea in scultura e un master in disegno d’ambienti presso l’Università di Seul si trasferisce in Italia per perfezionarsi, e sotto la guida di Pericle Fazzini si diploma all’Accademia di Roma, specializzandosi ulteriormente. Per oltre vent’anni si occupa di disegno industriale, come libera professionista, nel campo della progettazione di tessuti e accessori per la moda. L’artista, dividendosi fra la vita di Milano e quella di Seul, ha sviluppato una ricerca artistica, connotata da un sincretismo culturale, tipico degli artisti internazionali pregni della cultura delle loro radici rafforzata da un profondo studio della nostra. Nelle sculture di Yang Sil Leecome dice il poeta visivo, storico e critico dell’arte Alberto Veca, ci sono le origini dell’Universo: perché NOI siamo l’universo e l’Universo stesso è in noi, come la goccia e l’oceano e viceversa. “L’infinita quantità e tipologia di composti chimici e minerali, presenti nel cosmo, nell’ambiente sono gli stessi presenti nell’organismo umano, un rapporto uomo/ambiente, quasi mistico, un legame inscindibile, è il principio di in-scindibilità, quello sviluppato dalla poetica dell’artista, tra Uomo/ Ambiente/ Spazio e Tempo. Questa concezione di totalità, Spazio/Tempo/Forma, permea le sculture diYang Sil Lee: stratificazioni di antiche rocce sedimentarie, che costituiscono l’apparato competitivo dei suoi totem scultorei ora a evocare antiche divinità, del remoto passato della coscienza collettiva o antichi culti di grandi civiltà come quella Egizia, ora ad attendere invece entità o intelligenze superiori, esseri che dall’aldilà possano come in un rito sciamanico comunicare dal futuro la loro presenza. Miti di arcaiche civiltà ammassi di rocce che contengono in sé ritrovamenti fossili, testimonianze di primordiali forme di vita marina, ma richiamate con maremoti, e sconvolgimenti sottomarini che sommuovono gli abissi della più antica coscienza genetica per ricordare le nostre origini: la Vita, anche quella umana, che giunge dal mare dall’elemento Acqua. Vita e Morte, simultanei mai per annientare ma per rigenerare: l’Acqua, il mare, i fiumi, i laghi in un continuo movimento circolare elementi sempre ben presenti nelle sculture di Yang Sil Lee, abile quanto profonda scultrice coreana. Un movimento creatore, circolare roteante, in simbologia arcaica rappresentato dall’antico simbolo archetipo della “spirale” comune a diverse civiltà che traspare perfettamente nelle creazioni dell’artista. Anche l’elemento femminile, quello della “Dea Madre” che rileviamo in alcune forme scultoree rigonfie che ricordano i seni, il grembo e la fecondità femminile, è presente nelle opere di Yang Sil Leeche dà vita ad un mondo che sovverte l’ordine convenzionale del tempo dove il passato remoto si congiunge con il lontano futuro dove inizio e fine non sono più distinguibili.” Anche per l’artista Kim Seung-hola ricerca concettuale muove dagli elementi della Natura, in particolare dall’Acqua e dal Mare, inteso come orizzonte infinito e sfuggente al controllo umano espresso attraverso pittura e installazioni. Oggetti ed elementi vari, inoltre, sono parti integranti della sua opera pittorica. Citando Umberto Galimberti “ il mare si fa simbolo del senza-confine che impaurisce chi abita terre protette, intimi focolari, passioni quiete che nessuna gioia ha mai fatto danzare, alcun dolore inabissato. Il mare conosce la danza e l’abisso….in questo senso il mare è la metafora del cuore come la terra lo è dell’anima razionale, perché a differenza dell’anima, che da quando è nata è sempre in cerca di protezione e di salvezza, nel cuore c’è quella voglia di terre non ancora scoperte che solo il mare può concedere a chi non teme il senza- confine…” I dipinti di Kim Seung-ho iperealistici fanno di lui un artista innovativo, per il quale la costruzione e de-costruzione di un universo effimero e fragile diventano metafora della precarietà e dell’incertezza dell’esistenza umana. Il mare riprodotto costantemente da Kim Seung-ho diventa simbolo di conoscenza, strumento per capire meglio noi stessi ed il mondo che ci circonda. L’acqua, infatti, in diverse tradizioni culturali e spirituali, rappresenta un simbolo di purezza e di candore ma anche di conoscenza, di saggezza e di conoscenza spirituale. 
L’Acqua che disseta, che diventa simbolo di una conoscenza che è insita dentro di noi. L’Acqua vitale ma anche distruttiva come la natura umana, duplice al contempo creativa e distruttiva. Ecco quindi che la ricerca artistica risultato di anni di analisi del mondo interiore e delle sue immagini simboliche. Ecco quindi, come dice l’artista stesso, una ricerca che dà vita ad immagini mentali a rispondere ad interrogativi che nascono da stimoli esterni e da elementi naturali.

IN UN LIBRO I MAESTRI DELL’ARTE CERAMICA

Sarà presentato oggi alle 18 al Museo Mineralogico di Palazzo Tagliaferro ad Andora, il libro-catalogo realizzato a documentazione della mostra “L’arte ceramica racconta la storia di una fornace”, che vede esposte fino al 4 Marzo, nelle sale del museo, oltre 30 opere firmate da alcuni protagonisti della storia dell’arte contemporanea (sabato e domenica, ore 15-19). Partecipano all’incontro il maestro vasaio Giovanni Poggi, fondatore della Fornace San Giorgio di Albissola, la direttrice artistica Christine Enrile…

PRESENTAZIONE DEL CATALOGO “L’ARTE CERAMICA RACCONTA LA STORIA DI UNA FORNACE”

Presentazione del libro realizzato a documentazione della mostra “L’arte ceramica racconta la storia di una fornace” a cura di Viana Conti e Christine Enrile. Interverranno gli artisti Franco Bruzzone, Maurizio Diana, Luciano Fiannacca, Angela Guiffrey, Giorgio Moiso e Francesco Preverino in conversazione con il maestro vasaio Giovanni Poggi e la curatrice Christine Enrile. L’esposizione si snoda con una sequenza di oltre 30 opere firmate da alcuni degli artisti che sono stati protagonisti della storia dell’arte contemporanea. L’incontro sarà occasione per ripercorrere, attraverso il racconto e gli aneddoti di alcuni dei protagonisti, l’artifex di una delle fabbriche italiane di ceramica maggiormente permeate di storia…

L’ARTE CERAMICA RACCONTA LA STORIA DI UNA FORNACE | PRESENTAZIONE DEL LIBRO CATALOGO

ingresso libero mostra prorogata fino al 4 marzo 2018 sabato e domenica ore 15 – 19 Sabato 24 febbraio alle ore 18.00 presso il Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro si terrà la presentazione del libro realizzato a documentazione del percorso espositivo, “L’arte ceramica racconta la storia di un fornace”, che ha visto snodarsi nelle sale dell’iridescente museo una sequenza di oltre 30 opere firmate da alcuni degli artisti che sono stati protagonisti della storia dell’arte contemporanea. Parteciperanno all’evento, coordinati dalla direttrice artistica di Palazzo Tagliaferro Christine Enrile, il maestro vasaio Giovanni Poggi, fondatore della Fornace San Giorgio, e gli artisti Franco Bruzzone, Maurizio Diana, Luciano Fiannacca, Angela Guiffrey, Giorgio Moiso, Francesco Preverino. L’incontro sarà occasione per ripercorrere, attraverso il racconto e gli aneddoti di alcuni dei protagonisti, l’artifex di una delle Fabbriche italiane di ceramica maggiormente permeate di Storia. Fino al 4 marzo, grazie ad una proroga della mostra saranno visionabili le  sfere di Peter Casagrande e Nes Lerpa, le giare, i vasi al tornio di terracotta ingobbiata, graffita, smaltata di Aurelio Caminati, Milena Milani, Ignazio Moncada, Gaston Orellana, Serge Vandercam, i piatti di Italo Bolano, Franco Bruzzone, Eugenio Carmi, Peter Casagrande, Maurizio Diana, Luciano Fiannacca, Angela Guiffrey, Ernst Heckelmann, Franz Hitzler, Marco Lodola, Giorgio Moiso, Gaston Orellana, Francesco Preverino, Giuseppe Scaiola, Roger Selden, Paolo Valle, una carta di Lucio Fontana, una piastra di Wifredo Lam,  le sculture modellate, disegnate, incise con grafie e scritture semantiche e asemantiche di Sandro Cherchi, Agenore Fabbri, Oreste Quattrini. L’arte ceramica ha una storia antica e quella della Fabbrica San Giorgio di Albissola ha costruito, tramandato, coniugato un sapere manuale a un potere inventivo, diventando patrimonio comune di un gruppo sociale e dando materia, colore e forma all’immaginario collettivo. Nel primo Novecento Albissola è sede mitica di un fenomeno di richiamo di figure protagoniste del mondo dell’arte che non si verifica neanche a Vallauris o a Faenza. Vi si innestano movimenti e artisti come il Futurismo con Tullio Mazzotti, detto d’Albisola da Filippo Tommaso Marinetti, Nicolay Diulgheroff, il triestino Farfa, Pippo Oriani, Mino Rosso, Alberto Sartoris e Fillia, lo Spazialismo con Lucio Fontana, il Movimento nucleare con Enrico Baj e Sergio Dangelo, la pittura organica, le tavole di accertamento, gli Achrome, i corpi d’aria, le linee, la Merde d’artiste, con anticipazioni del Concettuale e del Comportamentale con Piero Manzoni, il CO.BR.A con Asger Jorn, Karel Appel, Corneille, Alechinsky, Vandercam, Constant, la gestualità materica di segno cosmico con l’artista aviatore Roberto Crippa, la pittura a metri con Pinot Gallizio, già coinvolto nell’Internazionale situazionista a fianco di Piero Simondo, Debord, Vaneigem, Jorn, i sintomi dell’Informale con Leoncillo, Eva Sorensen, la pittura di segno e di gesto con Giuseppe Capogrossi, Emilio Scanavino, l’Espressionismo surreale con Wifredo Lam, Sebastian Matta Echaurren, Cesare Peverelli, Gianni Dova, le sintesi astrattoformali di Ignazio Moncada. Tutti artisti che collaborano con artigiani e vengono accolti nelle Fabbriche locali. È così che le diverse fornaci iniziano a scrivere una loro fondamentale storia dell’Arte ceramica a livello internazionale: un’arte fondata sulla creatività e sul rituale di un sapiente, vigile, ininterrotto lavoro manuale che abbiamo voluto raccontarvi.